Uccisione di Berta Caceres e i martiri di 'Laudato Si’'

L'attivista ambientalista uccisa ieri in Honduras aveva partecipato nell'ottobre 2014 all'incontro del Papa coi movimenti popolari. Ed è un'icona di quelle violenze contro gli indios denunciate da Francesco durante il viaggio in Messico

Berta Cáceres con papa Francesco

04/03/2016

giorgio bernardelli

Roma

Il 28 ottobre 2014 c'era anche lei in Vaticano ad ascoltare Francesco pronunciare l'ormai celebre discorso delle tre «T»: tierra, techo y trabajo, terra, casa e lavoro. Un'istantanea di quel primo incontro mondiale dei movimenti popolari ritrae Berta Cáceres accanto al Papa con un poncho colorato, caratteristico degli indios lenca. Meno di un anno e mezzo dopo è questa stessa donna cinquantenne dell'Honduras a essere pianta in queste ore dai movimenti ambientalisti di tutto il mondo dopo il brutale assassinio di cui è stata vittima ieri all'alba nella sua casa a La Esperanza. 

Colpita per via della battaglia che per anni, insieme ai lenca, ha portato avanti in Honduras contro la diga di Aqua Zarca, mega impianto idroelettrico sostenuto dalla Cina e dalla Banca mondiale che avrebbe comportato per centinaia di indios la perdita di ogni accesso alle sorgenti d'acqua intorno alle quali da sempre sono vissuti. Battaglia alla fine vinta, con l'abbandono del progetto da parte dei partner internazionali; ma pagata lo stesso con il sangue per via degli interessi miliardari andati in fumo. È l'ennesimo esempio di uno dei martiri più invisibili del mondo di oggi: quello degli attivisti che - soprattutto all'interno delle comunità indigene - si battono per i valori affermati da papa Francesco nell'enciclica Laudato Si'.

Sono morti che confermano in maniera quanto mai violenta l'idea centrale dell'Enciclica: il legame inscindibile tra difesa dell'ambiente e giustizia, tra la custodia del creato e quella del fratello. Ed è una morte che arriva appena tre settimane dopo il nuovo forte grido in difesa delle popolazioni indigene lanciato da Francesco in Messico, a San Cristóbal de Las Casas: «Molte volte, in modo sistematico e strutturale - aveva detto il Papa - i vostri popoli sono stati incompresi ed esclusi dalla società. Alcuni hanno considerato inferiori i loro valori, la loro cultura, le loro tradizioni. Altri, ammaliati dal potere, dal denaro e dalle leggi del mercato, li hanno spogliati delle loro terre o hanno realizzato opere che le inquinavano. Che tristezza! Quanto farebbe bene a tutti noi fare un esame di coscienza e imparare a dire: perdono! Perdono, fratelli! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi!».

Ed è proprio dentro a questa cultura dello scarto estesa a intere popolazioni che va collocata la morte di Berta Cáceres. Non si tratta di un fenomeno circoscritto entro dinamiche locali, ma l'epicentro di un dramma ben più vasto. Secondo un rapporto presentato da Global Witness l'anno scorso nel mondo ogni settimana due persone vengono uccise per aver provato a difendere la terra. E l'Honduras - con i suoi 101 attivisti ambientalisti uccisi tra il 2010 e il 2014 - è il paese con il più alto tasso di omicidi di questo tipo al mondo. Quel rapporto indicava proprio Berta Cáceres come uno degli obiettivi più in vista. «Dal 2013 - spiegava Global Witness - tre dei suoi colleghi sono stati uccisi per la loro protesta contro la costruzione della diga di Aqua Zarca, che minaccia di tagliare fuori centinaia di indios lenca da una sorgente vitale per la loro sopravvivenza. Contro di lei sono state costruite accuse criminali e due dei tre figli hanno lasciato l'Honduras per preoccupazioni legate alla loro sicurezza». Berta Cáceres stessa - ricevendo poche settimane prima il premio Goldman, uno dei più prestigiosi riconoscimenti ambientali al mondo - aveva espressamente denunciato queste minacce.

Si capisce allora la durissima presa di posizione di Radio Progreso, la radio dei Gesuiti dell'Honduras, che ieri ha accusato senza mezzi termini le autorità dello Stato di corresponsabilità in questa morte. «Non ha fornito protezione a Berta come invece aveva ha richiesto la "Commissione interamericana per i diritti umani" - si legge in una nota -, non ha indagato sulle minacce e le molestie contro di lei da parte della polizia, dei militari e dei paramilitari, ha acuito la sua vulnerabilità criminalizzandola attraverso procedimenti illegali, non ha rispettato il diritto del popolo lenca di essere consultato su ogni progetto portato avanti nei loro territori». 

La storia di Berta Cáceres in Honduras è la storia di un martirio che continua anche altrove. E vede realtà legate alle Chiese spesso in prima linea. Il nome più noto è quello di suor Dorothy Stang, religiosa americana delle Suore di Nostra Signora di Namour, uccisa nello Stato del Parà in Amazzonia nel 2005 per il suo impegno a difesa della foresta. Ma molto simile a quella di Berta Cáceres è anche la storia di padre Fausto Tentorio, missionario italiano del Pime ucciso nell'ottobre 2011 a Mindanao, nelle Filippine, per il suo impegno per la difesa delle terre dei manobo, una locale popolazione tribale. Un omicidio tuttora senza colpevoli.

La vicenda di Tentorio dice anche un altro aspetto doloroso: queste morti non sono mai isolate. Dietro al missionario o al leader ucciso che fa notizia in tutto il mondo ci sono tante altre uccisioni o gesti di violenza che passano nell'indifferenza del mondo. L'ultimo episodio nelle Filippine è di pochi giorni fa: una delle comunità per le quali ha speso la vita padre Tentorio in questi mesi sta conducendo l'ennesima battaglia. Per protestare contro la militarizzazione delle loro terre nella foresta - che con il pretesto della lotta alla guerriglia marxista degli Npa diventa spesso occasione per sradicare scuole e disperdere villaggi, aprendo così la strada a imprese del legname o compagnie minerarie - i manobo sono accampati da alcuni mesi nelle strutture di una chiesa evangelica a Davao, il capoluogo di Mindanao. Qualche notte fa alcuni ignoti hanno appiccato il fuoco ad alcune delle loro strutture di fortuna: alcuni bambini sono rimasti ustionati. Colpiti dalla violenza anche lontano dai loro villaggi: fino a questo punto oggi si spinge l'avidità di chi non accetta ostacoli nella propria corsa a sfruttare senza limiti gli ultimi angoli incontaminati della terra. Quelli sui quali Francesco con l'enciclica Laudato Si' ha lanciato forte il suo grido. Ma il mondo oggi è disposto ad ascoltarlo davvero?
 

WWF Caserta

Commenti